La Esortazione apostolica «Evangelii
Gaudium» (La gioia del
Vangelo) di papa Francesco, che
delinea una chiesa missionaria
e ridà la centralità all’annuncio
evangelico come dimensione
fondamentale dell’esistenza della
Chiesa, ha di fatto aperto una
riflessione sul ruolo della Chiesa
nella società. Si pone il problema
di come portare l’annuncio in una
società secolarizzata e profondamente
cambiata nel volgere di pochi
decenni, non semplicemente
per conservare la Chiesa in questa
realtà mutata, ma per evangelizzare
la società e a rendere la Chiesa
capace di questo compito.
È un cambio di marcia notevole.
Nell’arco di tre secoli la modernità
ha radicalmente modificato
una società gerarchicamente ben
strutturata e interamente cristianizzata
nella quale la Chiesa aveva
un ruolo rilevante, esercitando
anche un certo potere.
La Chiesa
di conseguenza si è arroccata in
una difesa ad oltranza contro la
modernità senza porsi il problema
di come annunciare il Vangelo
in un contesto mutato, ma anzi
opponendosi al cambiamento.
Ora si prende atto che la società
è composta da varie istanze non
più gerarchicamente ordinate, che
spesso anzi rivendicano la propria
autonomia totale (vedi la cultura,
la scienza, la finanza) dove la
libertà personale è diventata un
valore assoluto e la dimensione religiosa
non è più centrale. Queste
trasformazioni sono state spesso
positive (vedi il valore acquisito
dalla democrazia e le conquiste
della scienza), altre volte negative.
Ora si riconosce che la modernità
è un fatto irreversibile e con essa
occorre misurarsi. Ne consegue
che in questa società non si nasce
più cristiani, ma si decide, eventualmente,
di diventare cristiani.
Di qui l’esigenza di andare in missione
in terre un tempo cristianizzate
come la nostra.
La missione tuttavia non è propaganda
cristiana. Occorre ritornare
ai fondamentali teologici
della missione. L’annuncio del
Vangelo a tutti gli uomini nasce
dalla fede che Gesù è risorto dai
morti e la sua morte (con ciò che
implica come modello di amore
gratuito e totale) e resurrezione
è per tutta l’umanità e per questo
la sua signoria, quando è
accettata, realizza pienamente la
libertà, la giustizia, la solidarietà
e la fratellanza, cioè è totalmente
umanizzante. Questa è la ragione
per cui la Chiesa deve annunciare
il Vangelo a tutti (Mt. 28,19-20).
In questo senso la chiesa è naturalmente
missionaria, senza
pretendere con ciò che tutto il
mondo diventi cristiano. Suo
compito è porsi come segno di
salvezza e strumento dell’amore
di Dio verso tutti.
La missione consiste nel trasmettere
al mondo la vita divina
e perciò è un compito naturale
per la Chiesa. Se non è missionaria
la Chiesa nega se stessa. Si
tratta poi di capire come concretamente
realizzare la missione.
Qui risulta evidente il ruolo dei
laici. Non è pensabile che sia
una compito del clero soltanto.
La Chiesa è naturalmente in
missione con i laici che vivono
la loro normale dimensione
sociale in famiglia, nei rapporti
sociali, nei luoghi di lavoro, nelle
equipe scientifiche, in politica,
ecc. Ciascuno di essi è parte del
popolo di Dio ed è cristiano
sempre nel mondo lavoro, nel
rapporto con gli altri, per come
risolve i problemi. Per come testimonia
il suo essere cristiano.
La trasmissione della fede passa
in gran parte dai comportamenti
coerenti di ciascuno. Ciascuno
responsabilizzato a portare
le ragioni del suo credere e la
novità del Vangelo. E sono tutti
luoghi non abitualmente abitati
dal clero, o almeno dai preti. Per
questo occorre porre particolare
attenzione alla formazione dei
laici affinché siano sempre più
capaci di annuncio cristiano e,
addirittura, di rappresentanza
della Chiesa là dove si realizza
la loro vita.
Ma anche la vita ecclesiale, là
dove i cristiani si radunano per
celebrare liturgicamente, per pregare
o per confrontarsi, deve in
qualche modo essere permeata
dalle loro diverse esperienze. Al
clero poi spetterà il compito di
radicare la comunità cristiana
nella testimonianza apostolica.
Tuttavia in una società molto
articolata, addirittura parcellizzata
e disincantata la capacità di
argomentare è fondamentale. Per
questa ragione la «formazione»
diventa un passaggio obbligato
per tutti.
Nella nostra Unità pastorale
sta per partire l’esperienza
dei «Gruppi di Vangelo nelle
case» dove soprattutto i laici
saranno chiamati, dopo un’adeguata
formazione, ad esserne
i protagonisti.
Per le persone e
le famiglie che vorranno ascoltare,
o ospitare i Gruppi nella
propria casa, siano essi credenti
che vogliono approfondire la
loro fede, oppure non credenti
curiosi di capire la proposta
cristiana, sarà un’opportunità
di conoscere i cristiani non per
come sono descritti dai giornali
e da un certo pregiudizio, ma
per come si fanno ispirare dalla
Parola di Cristo nella vita di
ogni giorno.
diacono Roberto PORRATI
martedì 2 dicembre 2014
lunedì 1 dicembre 2014
DICIAMO NO AL BULLISMO
Dalle associazioni alle scuole,
passando per l’amministrazione
comunale e le famiglie, si
alza un deciso «no» a bullismo
giovanile. Lo dimostrano la sensibilità
concretizzatasi in partecipazione
e interesse dimostrato
in occasione delle iniziative sul
tema, tanto che le scuole medie
si sono appena aggiudicate un
bando del Ministero dell’Istruzione
finalizzato proprio alla
prevenzione del bullismo e il
Comune, in collaborazione con
le associazioni, sta avviando un
Centro Giovani.
Per «bullismo» s’intendono tutte
le «azioni di sistematica prevaricazione
e sopruso messe in
atto da parte di un bambino o
adolescente, definito ‘bullo’ o da
parte di un gruppo definito tale,
nei confronti di un suo pari, percepito
come più debole, la vittima
».
Anche se San Mauro – agli occhi di molti – è un’isola felice, non bisogna abbassare la guardia né sottovalutare i campanelli d’allarme, anche alla luce degli episodi che si registrano periodicamente, piccoli o grandi che siano, e di quelli celati nella «rete» e nei cellulari dei nostri giovani. «Tutti coloro che, a vario titolo, sono impegnati a diretto contatto con il mondo giovanile hanno il dovere morale e civile di affrontare il problema - spiega l’assessore Marino Reymondet che di mestiere fa l’insegnante - Spesso esso è nascosto molto bene nelle varie realtà e nelle persone, è un dato assodato che le cosidette ‘isole felici’ nascondono meglio di altre forme di arroganza e sopraffazione. Nel mio caso, chi si occupa delle politiche giovanili, deve concorrere a creare condizioni di partecipazione attiva sul territorio ‘fomentando’ la voglia ad essere protagonisti ed elementi attivi sul territorio. A breve apriremo il Centro Giovani che fa parte di un progetto locale ormai avviato. È un tentativo di offrire uno spazio e una opportunità a favore dei giovani di proporre attività, dialogo, informazioni, aiutandoli a sentirsi cittadini attivi e propositivi. Il giovane ‘bullo’ spesso è passivo, vinto e giocoforza violento ma nessuno nasce così, se non trova intorno a sé indifferenza può cambiare e scoprirsi invece attivo, vincitore e cittadino corretto e, perché no, felice». «Come giovani lavoratori e studenti impegnati nell’associazione Gioc, siamo chiamati alla sfida quotidiana di educare, formare ed evangelizzare i ragazzi dei nostri territori, camminando al loro fianco in questo percorso - spiega Francesca Porrovecchio della Gioventù Operaia Cristiana (Gioc), della quale don Ilario Corazza è stato appena nominato assistente a livello torinese - Grazie al confronto reciproco all’interno del gruppo, come luogo educativo e di crescita per eccellenza, i giovani possono riscoprire la loro identità, raccontare il proprio stato d’animo e le problematiche che vivono in famiglia, con gli amici, a scuola, diventando così protagonisti impegnati e consapevoli dei loro ambienti di vita.
La prima vera arma per combattere il bullismo è ‘parlarne, parlarne, parlarne’, e l’esperienza di gruppo per i nostri ragazzi, da questo punto di vista, diventa così il luogo privilegiato per iniziare a farlo davvero». San Mauro sembra aver recepito in pieno queste indicazioni. In questi giorni la scuola media statale «Carlo Alberto Dalla Chiesa», ha vinto un concorso bandito dal Miur (Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca) su questo tema e partecipato attivamente al tavolo avviato ufficialmente lo scorso 25 ottobre dall’associazione culturale AltreArti nella serata dal titolo «Il Bullismo non è rock». In quell’occasione, tra un brano musicale e l’altro, il pubblico si è trovato immerso in un dibattito vivo, affrontando il tema dell’educazione dei figli, della necessità di fare rete e prevenzione con scuola, istituzioni e loro: i giovani. Non ci è voluto molto a sciogliere la vergogna condensandola in gocce di speranza e in azione. Ci è riuscito Flavio Rubatto, educatore e musicoterapeuta di AltreArti che ha intrattenuto il pubblico, rimasto a bocca aperta e in silenzio profondo (bambini compresi) per oltre mezzora, con alcuni «giochi» improntati sull’osservazione dei movimenti del corpo basata sulla programmazione neuro linguistica (pnl) e sul lavoro d’insieme, con il canto di gruppo (tecnica dell’ancoraggio). Una breve dimostrazione di una parte del cosiddetto «metodo AltreArti»: imparare - la musica, ad esempio - sperimentando e giocando con le infinite potenzialità comunicative che il corpo e la mente umana offrono. Abbiamo incontrato la professoressa Luisa Dal Paos - dirigente scolastica delle scuole medie sanmauresi che insieme alla collega Patrizia Pramaggiore, dirigente scuole elementari, ha partecipato alla tavola rotonda - al fine di comprendere da vicino questo fenomeno e come la scuola italiana intende porre fine allo stesso. Secondo la dirigente, è importante lavorare in rete partendo dal nucleo familiare. «La famiglia - spiega Dal Paos - deve far comprendere all’adolescente i rispettivi ruoli che sono diversi».
La famiglia del «bullo», chiamata in causa, spesso si sente in dovere di difendere il proprio figlio sminuendo l’atto o negandolo del tutto, questo porta a screditare le azioni preventive o educative che la scuola intende prendere. «La famiglia si sente chiamata in causa più di quanto dovrebbe e dovrebbe comprendere che essi e il bambino non sono allo stesso piano» prosegue la preside sanmaurese che sottolinea anche il «timore di chiedere aiuto, anche per paura che il bambino venga allontanato dalla famiglia». Sul cyberbullismo Dal Paos aggiunge che «i ragazzi vanno educati all’utilizzo degli strumenti offerti da Internet» e per questo la scuola media sanmaurese ha aderito a un ciclo di serate organizzate da «La Piazza dei Mestieri» con corsi di formazione per insegnanti, conferenze e laboratori per ragazzi e conferenze aperte alle famiglie. La passione della docente per il suo lavoro è racchiusa in questa frase che ci rilascia, a fine intervista: «Ho insegnato per 32 anni informatica, l’altro giorno sono stata venti minuti in classe per sostituire una collega. Venti minuti in classe ed ero felice».
Emanuele FRANZOSO Chiara MUNNO ha collaborato MATTEO DE DONÀ
Anche se San Mauro – agli occhi di molti – è un’isola felice, non bisogna abbassare la guardia né sottovalutare i campanelli d’allarme, anche alla luce degli episodi che si registrano periodicamente, piccoli o grandi che siano, e di quelli celati nella «rete» e nei cellulari dei nostri giovani. «Tutti coloro che, a vario titolo, sono impegnati a diretto contatto con il mondo giovanile hanno il dovere morale e civile di affrontare il problema - spiega l’assessore Marino Reymondet che di mestiere fa l’insegnante - Spesso esso è nascosto molto bene nelle varie realtà e nelle persone, è un dato assodato che le cosidette ‘isole felici’ nascondono meglio di altre forme di arroganza e sopraffazione. Nel mio caso, chi si occupa delle politiche giovanili, deve concorrere a creare condizioni di partecipazione attiva sul territorio ‘fomentando’ la voglia ad essere protagonisti ed elementi attivi sul territorio. A breve apriremo il Centro Giovani che fa parte di un progetto locale ormai avviato. È un tentativo di offrire uno spazio e una opportunità a favore dei giovani di proporre attività, dialogo, informazioni, aiutandoli a sentirsi cittadini attivi e propositivi. Il giovane ‘bullo’ spesso è passivo, vinto e giocoforza violento ma nessuno nasce così, se non trova intorno a sé indifferenza può cambiare e scoprirsi invece attivo, vincitore e cittadino corretto e, perché no, felice». «Come giovani lavoratori e studenti impegnati nell’associazione Gioc, siamo chiamati alla sfida quotidiana di educare, formare ed evangelizzare i ragazzi dei nostri territori, camminando al loro fianco in questo percorso - spiega Francesca Porrovecchio della Gioventù Operaia Cristiana (Gioc), della quale don Ilario Corazza è stato appena nominato assistente a livello torinese - Grazie al confronto reciproco all’interno del gruppo, come luogo educativo e di crescita per eccellenza, i giovani possono riscoprire la loro identità, raccontare il proprio stato d’animo e le problematiche che vivono in famiglia, con gli amici, a scuola, diventando così protagonisti impegnati e consapevoli dei loro ambienti di vita.
La prima vera arma per combattere il bullismo è ‘parlarne, parlarne, parlarne’, e l’esperienza di gruppo per i nostri ragazzi, da questo punto di vista, diventa così il luogo privilegiato per iniziare a farlo davvero». San Mauro sembra aver recepito in pieno queste indicazioni. In questi giorni la scuola media statale «Carlo Alberto Dalla Chiesa», ha vinto un concorso bandito dal Miur (Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca) su questo tema e partecipato attivamente al tavolo avviato ufficialmente lo scorso 25 ottobre dall’associazione culturale AltreArti nella serata dal titolo «Il Bullismo non è rock». In quell’occasione, tra un brano musicale e l’altro, il pubblico si è trovato immerso in un dibattito vivo, affrontando il tema dell’educazione dei figli, della necessità di fare rete e prevenzione con scuola, istituzioni e loro: i giovani. Non ci è voluto molto a sciogliere la vergogna condensandola in gocce di speranza e in azione. Ci è riuscito Flavio Rubatto, educatore e musicoterapeuta di AltreArti che ha intrattenuto il pubblico, rimasto a bocca aperta e in silenzio profondo (bambini compresi) per oltre mezzora, con alcuni «giochi» improntati sull’osservazione dei movimenti del corpo basata sulla programmazione neuro linguistica (pnl) e sul lavoro d’insieme, con il canto di gruppo (tecnica dell’ancoraggio). Una breve dimostrazione di una parte del cosiddetto «metodo AltreArti»: imparare - la musica, ad esempio - sperimentando e giocando con le infinite potenzialità comunicative che il corpo e la mente umana offrono. Abbiamo incontrato la professoressa Luisa Dal Paos - dirigente scolastica delle scuole medie sanmauresi che insieme alla collega Patrizia Pramaggiore, dirigente scuole elementari, ha partecipato alla tavola rotonda - al fine di comprendere da vicino questo fenomeno e come la scuola italiana intende porre fine allo stesso. Secondo la dirigente, è importante lavorare in rete partendo dal nucleo familiare. «La famiglia - spiega Dal Paos - deve far comprendere all’adolescente i rispettivi ruoli che sono diversi».
La famiglia del «bullo», chiamata in causa, spesso si sente in dovere di difendere il proprio figlio sminuendo l’atto o negandolo del tutto, questo porta a screditare le azioni preventive o educative che la scuola intende prendere. «La famiglia si sente chiamata in causa più di quanto dovrebbe e dovrebbe comprendere che essi e il bambino non sono allo stesso piano» prosegue la preside sanmaurese che sottolinea anche il «timore di chiedere aiuto, anche per paura che il bambino venga allontanato dalla famiglia». Sul cyberbullismo Dal Paos aggiunge che «i ragazzi vanno educati all’utilizzo degli strumenti offerti da Internet» e per questo la scuola media sanmaurese ha aderito a un ciclo di serate organizzate da «La Piazza dei Mestieri» con corsi di formazione per insegnanti, conferenze e laboratori per ragazzi e conferenze aperte alle famiglie. La passione della docente per il suo lavoro è racchiusa in questa frase che ci rilascia, a fine intervista: «Ho insegnato per 32 anni informatica, l’altro giorno sono stata venti minuti in classe per sostituire una collega. Venti minuti in classe ed ero felice».
Emanuele FRANZOSO Chiara MUNNO ha collaborato MATTEO DE DONÀ
domenica 30 novembre 2014
Il dono di Natale, Gesù nella storia
La televisione con le prime pubblicità ci rammenta che è ora di iniziare a comprare i regali per Natale, lo spam delle email si riempie di annunci di vacanze natalizie e di pranzoni e cenoni a cui partecipare nelle feste e anche le Luci di Artista di Torino ci rinviano al turbillon natalizio. Ma cosa vuol dire festeggiare il Natale al settimo anno consecutivo di crisi economica? Come si può festeggiare con la paura della violenza che colpisce ormai tante terre martoriate dalla guerra e dal terrorismo? Come ci si può rallegrare con l’incertezza sul futuro dei giovani, l’insicurezza di tante famiglie sulla propria abitazione e come si può vivere la pace e la serenità con le divisioni, le diffidenze e le paure che infestano l’anima di ognuno di noi e la nostra società?
La nascita di Gesù è avvenuta in una famiglia povera, in viaggio per il censimento da fare per un potere straniero e oppressivo, senza un luogo dove fermarsi per la notte; la vita dell’Unico Figlio del Padre è iniziata in un periodo di crisi, di incertezza e di violenza (da lì a poco ci fu la strage degli innocenti) ed è finita su una croce fuori dalle mura di Gerusalemme in mezzo a due malfattori. Fare memoria della nascita di Gesù in periodo di crisi è ricordarsi che Dio entra nella nostra storia in ogni momento, in ogni situazione, in ogni tempo in cui ci si trova. Festeggiare la nascita di Gesù, il Suo Natale, è rallegrarsi che il Salvatore abbia deciso di sporcarsi le mani e metterle nel fango dell’umanità per prenderlo su di sé e donare all’umanità l’acqua pura della Sua risurrezione. Gioire per il Natale è gioire perché Dio condivide con noi la nostra storia e le dona una strada di luce. Vivere la pace e la serenità che dona il Natale è imparare da Gesù stesso a condividere con i più poveri, i più umiliati, i più diseredati. Il Natale in tempo di crisi e di incertezza ci ricorda e ci fa vivere la certezza che non siamo soli, ma siamo accompagnati, siamo presi in braccio da Dio; il Natale ci ricorda che la crisi, l’incertezza, la sofferenza non hanno più l’ultima parola, perché l’ultima Parola è la nascita, la vita, la risurrezione di Gesù. A noi condividere questa esperienza con gli uomini della nostra città. Buon Natale pieno della serenità della presenza di Dio!
don Ilario e don ClaudioArticolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 30/11/2014
La nascita di Gesù è avvenuta in una famiglia povera, in viaggio per il censimento da fare per un potere straniero e oppressivo, senza un luogo dove fermarsi per la notte; la vita dell’Unico Figlio del Padre è iniziata in un periodo di crisi, di incertezza e di violenza (da lì a poco ci fu la strage degli innocenti) ed è finita su una croce fuori dalle mura di Gerusalemme in mezzo a due malfattori. Fare memoria della nascita di Gesù in periodo di crisi è ricordarsi che Dio entra nella nostra storia in ogni momento, in ogni situazione, in ogni tempo in cui ci si trova. Festeggiare la nascita di Gesù, il Suo Natale, è rallegrarsi che il Salvatore abbia deciso di sporcarsi le mani e metterle nel fango dell’umanità per prenderlo su di sé e donare all’umanità l’acqua pura della Sua risurrezione. Gioire per il Natale è gioire perché Dio condivide con noi la nostra storia e le dona una strada di luce. Vivere la pace e la serenità che dona il Natale è imparare da Gesù stesso a condividere con i più poveri, i più umiliati, i più diseredati. Il Natale in tempo di crisi e di incertezza ci ricorda e ci fa vivere la certezza che non siamo soli, ma siamo accompagnati, siamo presi in braccio da Dio; il Natale ci ricorda che la crisi, l’incertezza, la sofferenza non hanno più l’ultima parola, perché l’ultima Parola è la nascita, la vita, la risurrezione di Gesù. A noi condividere questa esperienza con gli uomini della nostra città. Buon Natale pieno della serenità della presenza di Dio!
don Ilario e don ClaudioArticolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 30/11/2014
domenica 15 dicembre 2013
Calendario Avvento
- Auguri natalizi sabato 21 dicembre a Santa Maria di Pulcherada dopo la Messa della sera; domenica 22 a Sant’Anna dopo la Messa delle 11.30, S. Cuore di Gesù dopo la Messe delle 11.30, S. Benedetto alle 11.
- Festa dolce e salato sabato 7 e domenica 8 dicembre con vendita di torte presso le aule di catechismo di Pulcherada, il ricavato andrà alla Casa dell’Immacolata. Il giorno 7 polentata in occasione della festa patronale.
- Sospensione catechismo per vacanze natalizie da lunedì 23 dicembre; ripresa il 13 gennaio 2014.
- Celebrazione penitenziale dell’Unità Pastorale mercoledì 18 dicembre alle 21 a Pulcherada.
- Novena di Natale. Da lunedì 16 dicembre Messa quotidiana con Novena alle 18.30 a Santa Maria di Pulcherada, alle 21 a Sant’Anna.
- Novena per i bambini. Da lunedì 16 a venerdì 20 dicembre alle 17 a Sant’Anna, Santa Maria di Pulcherada. A San Benedetto triduo il 16, 17, 18 dicembre alle 17. Al Sacro Cuore di Gesù triduo il 18, 19, 20 alle 17.
- Scuole materne. Festa di Natale Scuola Materna di Sant’Anna, venerdì 13 dicembre alle 17 a Sant’Anna. Presso la scuola materna di San Benedetto mercatino dall’1 all’8 dicembre. Festa di Natale a San Benedetto giovedì 19 dicembre 17.
- Notte di Natale. Lunedì 24 dicembre celebrazioni alle 24 a Pulcherada e Sacro Cuore, alle 22 Sant’Anna e San Benedetto.
- Tedeum martedì 31 dicembre alle 18 a Santa Maria di Pulcherada.
- Presepe vivente giovedì 26 dicembre.
giovedì 26 settembre 2013
Testata d'Angolo 8 settembre 2013
E' nelle case di tutti i sanmauresi il nuovo numero di TESTATA D'ANGOLO, il giornale delle parrocchie in collaborazione con La Voce del Popolo.
Seguite il nostro blog per gli articoli, le foto, e gli approfondimenti dell'ultimo numero.
mercoledì 31 luglio 2013
Da San Mauro al lontano Oriente
Mi presento: sono Elena Carola
Colla, cittadina di San Mauro
da quando sono nata 26 anni fa.
Questo luogo fa parte della storia
della mia famiglia poiché, da
parte di mamma, le generazioni
sanmauresi si perdono nel tempo.
Mi sono laureata nel 2012:
corso di laurea in «Lingue e culture
dell’Asia e dell’Africa» presso
l’Università di Torino. I professori
mi proposero, la specialistica,
con un anno di corso in Cina. La
decisione è stata carica di dubbi,
ma poi, con il sostegno dei miei
genitori, ho scelto di partire ed
ora ritengo mi sia stata offerta
una grande opportunità.
Già nel 2010 avevo studiato sei mesi a Pechino. Allora, come ora, soggiornai in un campus, con la differenza che a Pechino tutti gli ambienti erano riscaldati e avevo il bagno in camera. Ora mi trovo a Shanghai, che essendo più a sud viene ritenuta città più calda, sebbene il termometro può anche raggiungere i 10 gradi sotto zero, nelle camere c’è l’aria condizionata mentre i corridoi ed i bagni comuni non hanno alcun tipo di riscaldamento.
Il volo che ho preso lo scorso mese di agosto 2012 mi ha portata in questo Paese, così diverso dal nostro, che in questi ultimi anni si è affacciato alla ribalta sul palcoscenico del mondo e che, forse, condizionerà la mie scelte future. Shanghai è una città diversa da Pechino, con caratteristiche più occidentali: è più cara e gran parte dei cittadini sono concentrati nell’accumulo di denaro e nell’ostentazione di una ricchezza raggiunta. Ci sono molti ristoranti occidentali, anche italiani, ne ho visti tre con il nome «Da Marco».
Shanghai è il simbolo, forse più di Pechino, dell’enorme sviluppo che la Cina ha raggiunto; è la dimostrazione che il Paese intende continuare il cammino di modernizzazione. Il grattacielo più alto di questa città raggiunge i 492 metri, è il IV° nel mondo ed ha 93 piani. Essendo rimasta in Cina anche durante le lunghe festività del capodanno cinese, ne ho approfittato per visitare Hong Kong ed altri luoghi.
La bellezza di questi luoghi non deve distogliere l’attenzione dai tanti problemi della Cina. In questo momento fra la gente c’è paura per la vicinanza con la Corea, poi c’è il grave problema dell’inquinamento, e si deve convivere con l’influenza aviaria, che ha già mietuto più di 100 vittime. Quanto alla tradizione nel cucinare gatti e cani posso testimoniare che i gatti sono divenuti compagni e amici dell’uomo mentre i cani subiscono ancora una sorte tragica. Di fronte alla mia stizza mi è stato risposto: «Voi occidentali mangiate i cavalli».
Nella foto: La sanmaurese Elena Colla (al centro) con due amiche davanti all’Oriental Pearl Tower di Shangai in Cina, dove sta completando gli studi universitari
Elena COLLA
Articolo pubblicato
Già nel 2010 avevo studiato sei mesi a Pechino. Allora, come ora, soggiornai in un campus, con la differenza che a Pechino tutti gli ambienti erano riscaldati e avevo il bagno in camera. Ora mi trovo a Shanghai, che essendo più a sud viene ritenuta città più calda, sebbene il termometro può anche raggiungere i 10 gradi sotto zero, nelle camere c’è l’aria condizionata mentre i corridoi ed i bagni comuni non hanno alcun tipo di riscaldamento.
Il volo che ho preso lo scorso mese di agosto 2012 mi ha portata in questo Paese, così diverso dal nostro, che in questi ultimi anni si è affacciato alla ribalta sul palcoscenico del mondo e che, forse, condizionerà la mie scelte future. Shanghai è una città diversa da Pechino, con caratteristiche più occidentali: è più cara e gran parte dei cittadini sono concentrati nell’accumulo di denaro e nell’ostentazione di una ricchezza raggiunta. Ci sono molti ristoranti occidentali, anche italiani, ne ho visti tre con il nome «Da Marco».
Shanghai è il simbolo, forse più di Pechino, dell’enorme sviluppo che la Cina ha raggiunto; è la dimostrazione che il Paese intende continuare il cammino di modernizzazione. Il grattacielo più alto di questa città raggiunge i 492 metri, è il IV° nel mondo ed ha 93 piani. Essendo rimasta in Cina anche durante le lunghe festività del capodanno cinese, ne ho approfittato per visitare Hong Kong ed altri luoghi.
La bellezza di questi luoghi non deve distogliere l’attenzione dai tanti problemi della Cina. In questo momento fra la gente c’è paura per la vicinanza con la Corea, poi c’è il grave problema dell’inquinamento, e si deve convivere con l’influenza aviaria, che ha già mietuto più di 100 vittime. Quanto alla tradizione nel cucinare gatti e cani posso testimoniare che i gatti sono divenuti compagni e amici dell’uomo mentre i cani subiscono ancora una sorte tragica. Di fronte alla mia stizza mi è stato risposto: «Voi occidentali mangiate i cavalli».
Nella foto: La sanmaurese Elena Colla (al centro) con due amiche davanti all’Oriental Pearl Tower di Shangai in Cina, dove sta completando gli studi universitari
Elena COLLA
Articolo pubblicato
mercoledì 10 luglio 2013
Il mito delle fragole
Nel calendario degli eventi di
San Mauro continua a venire
programmata la «Festa delle
Fragole», anche se i terreni
adibiti a questa coltivazione
sono rimasti pochi e le qualità
di maggior pregio non sono
neppure più nella categoria del
panda, perché sui terreni più
favorevoli sono cresciuti tanti
«alberi» di cemento. I palazzi,
senz’altro più fruttuosi dal
punto di vista finanziario, hanno
cancellato il prestigio che il
piccolo frutto rosso aveva dato
a San Mauro.
Per immaginare un paesaggio
fatto di tante piccole pianticelle,
non rimane che sfogliare
gli album fotografici di molte
famiglie sanmauresi.
Eugenia e Marilena Gilardi ci hanno mostrato le loro foto, molte sono in bianco e nero, ma possiamo immaginare quanto i terreni coltivati fossero verdi per le foglie, rossi per i frutti e bianco-gialli, per la paglia che il loro papà buttava fra un filare e l’altro affinché l’erba non crescesse. Fra i filari spicca la figura di Domenico Gilardi, da tutti conosciuto come Minòt. Figlio di Giuseppe Gilardi ed Eugenia Pilone, crebbe fra i filari di via Lunga (Sambuy) e dove ora c’è la farmacia di Sambuy. Assorbì i segreti della coltivazione. Produrre fragole divenne, per lui, una passione che trasmise alla moglie Ernesta Berton e alle figlie Eugenia e Marilena che, il giovedì, accompagnavano la mamma ai mercati generali, dal momento che in quel giorno, negli anni Cinquanta, non si andava a scuola.
Nella foto, Minòt e Ernesta fra i filoni negli anni sessanta.
La consegna delle fragole era un piccolo viaggio, il cappuccino preso al bar trasformava quella giornata in un giorno di festa. Ci sono anche foto più recenti, quelle in cui, fra i filari, scorazzano i nipotini Roberto e Paola Antonetto. Quando si fece costruire la casa in via Alfieri (allora via Rapo) per provare il terreno, Minot iniziò con 5 filari, era il 1953, poi divenne il più grande coltivatore di San Mauro. Il suo lavoro ufficiale era quello di vigile urbano di San Mauro; nei mesi d’aprile e maggio, s’alzava prestissimo per poter andare nei campi prima di recarsi al lavoro. Poi, durante il periodo di raccolta, che durava circa venti giorni, arrivavano ragazze da Locana e da Ronco Canavese, Minòt lavorava con loro perché le ferie le richiedeva per quei giorni, pur rimanendo a disposizione, per il 2 giugno e le domeniche. Le sue fragole erano amate anche dal Prefetto di Torino che negli anni Cinquanta veniva di persona ad acquistarle. Venivano richieste dal ristorante «L’Aquila» che si trovava di fronte al municipio.
Le piantine provenivano da Ferrara, Minòt le faceva arrivare anche per altri coltivatori, la più famosa era la «Bella Ruby»; le fragoline di Bosconero, invece, non erano adatte per quel terreno. Un anziano artigiano che abitava in valle Chianale, gli intrecciava i cestini in vimini che lui voleva personalizzati, così da un lato c’era l’iniziale G (verde), dall’altro lato la D (rossa), mentre il manico veniva dipinto in bianco al centro e rosso e verde alle due estremità, Quando non poté più avere quei cestini, Minòt s’ingegnò inventando un platò in legno con il manico in ferro (per la praticità del trasporto). Realizzò anche un sistema d’irrigazione, fatto di tubi di plastica, lunghi sei metri, bucati e appoggiati su cavalletti.
La sua coltivazione fu visitata da una delegazione del comune di Peveragno (Cuneo), e una foto, che porta la data 5 giugno 1958, ricorda quell’evento. Altre foto hanno fermato l’attimo di una meritata premiazione su un grande palco davanti alla scuola Nino Costa. A ricevere il premio dalle mani del sindaco Federico Guerrini erano Eugenia o Marilena, ma il merito delle 10 coppe, 3 medaglie d’oro ed 1 d’argento andava al papà. Domenico Gilardi (1917/2010), alpino, vigile e coltivatore, ha avuto un percorso di vita molto lungo durante il quale di San Mauro si è trasformata.
Nella foto, la premiazione della coltivazione familiare.
Come tanti altri coltivatori (ricordati in altri vecchi articoli di questo giornale) hanno lasciato in eredità album fotografici e scatole di latta contenenti foto antiche, vecchie e più recenti che sono la nostra macchina del tempo. In quelle immagini ritroviamo volti e luoghi di una San Mauro che non c’è più.
Luisa PILONE
Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 26/5/2013
Eugenia e Marilena Gilardi ci hanno mostrato le loro foto, molte sono in bianco e nero, ma possiamo immaginare quanto i terreni coltivati fossero verdi per le foglie, rossi per i frutti e bianco-gialli, per la paglia che il loro papà buttava fra un filare e l’altro affinché l’erba non crescesse. Fra i filari spicca la figura di Domenico Gilardi, da tutti conosciuto come Minòt. Figlio di Giuseppe Gilardi ed Eugenia Pilone, crebbe fra i filari di via Lunga (Sambuy) e dove ora c’è la farmacia di Sambuy. Assorbì i segreti della coltivazione. Produrre fragole divenne, per lui, una passione che trasmise alla moglie Ernesta Berton e alle figlie Eugenia e Marilena che, il giovedì, accompagnavano la mamma ai mercati generali, dal momento che in quel giorno, negli anni Cinquanta, non si andava a scuola.
Nella foto, Minòt e Ernesta fra i filoni negli anni sessanta.
La consegna delle fragole era un piccolo viaggio, il cappuccino preso al bar trasformava quella giornata in un giorno di festa. Ci sono anche foto più recenti, quelle in cui, fra i filari, scorazzano i nipotini Roberto e Paola Antonetto. Quando si fece costruire la casa in via Alfieri (allora via Rapo) per provare il terreno, Minot iniziò con 5 filari, era il 1953, poi divenne il più grande coltivatore di San Mauro. Il suo lavoro ufficiale era quello di vigile urbano di San Mauro; nei mesi d’aprile e maggio, s’alzava prestissimo per poter andare nei campi prima di recarsi al lavoro. Poi, durante il periodo di raccolta, che durava circa venti giorni, arrivavano ragazze da Locana e da Ronco Canavese, Minòt lavorava con loro perché le ferie le richiedeva per quei giorni, pur rimanendo a disposizione, per il 2 giugno e le domeniche. Le sue fragole erano amate anche dal Prefetto di Torino che negli anni Cinquanta veniva di persona ad acquistarle. Venivano richieste dal ristorante «L’Aquila» che si trovava di fronte al municipio.
Le piantine provenivano da Ferrara, Minòt le faceva arrivare anche per altri coltivatori, la più famosa era la «Bella Ruby»; le fragoline di Bosconero, invece, non erano adatte per quel terreno. Un anziano artigiano che abitava in valle Chianale, gli intrecciava i cestini in vimini che lui voleva personalizzati, così da un lato c’era l’iniziale G (verde), dall’altro lato la D (rossa), mentre il manico veniva dipinto in bianco al centro e rosso e verde alle due estremità, Quando non poté più avere quei cestini, Minòt s’ingegnò inventando un platò in legno con il manico in ferro (per la praticità del trasporto). Realizzò anche un sistema d’irrigazione, fatto di tubi di plastica, lunghi sei metri, bucati e appoggiati su cavalletti.
La sua coltivazione fu visitata da una delegazione del comune di Peveragno (Cuneo), e una foto, che porta la data 5 giugno 1958, ricorda quell’evento. Altre foto hanno fermato l’attimo di una meritata premiazione su un grande palco davanti alla scuola Nino Costa. A ricevere il premio dalle mani del sindaco Federico Guerrini erano Eugenia o Marilena, ma il merito delle 10 coppe, 3 medaglie d’oro ed 1 d’argento andava al papà. Domenico Gilardi (1917/2010), alpino, vigile e coltivatore, ha avuto un percorso di vita molto lungo durante il quale di San Mauro si è trasformata.
Nella foto, la premiazione della coltivazione familiare.
Come tanti altri coltivatori (ricordati in altri vecchi articoli di questo giornale) hanno lasciato in eredità album fotografici e scatole di latta contenenti foto antiche, vecchie e più recenti che sono la nostra macchina del tempo. In quelle immagini ritroviamo volti e luoghi di una San Mauro che non c’è più.
Luisa PILONE
Articolo pubblicato su "Testata d'Angolo" del 26/5/2013
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